Il tramonto nell’arte
Mostra organizzata il 17 Novembre 2018
presso la Basilica di Santa Maria delle Grazie Milano
E’ luogo comune che quando si pensa al
“tramonto” lo si associ alla parola “fine”.
Se noi pensiamo ai meravigliosi tramonti che ci regala la natura, dai colori accesi pieni di forza e vita, tutto fa pensare ad un inizio più che ha una fine.
Quindi la natura stessa sembra sovvertire questo concetto.
Anche nell’arte ci può essere un percorso che conduce al tramonto, anche in questo caso, il tramonto è un tempo sospeso, d’attesa, che volge ad una fine ma al tempo stesso anticipa un inizio, di raccoglimento o di rinnovamento sia dell’artista che dell’arte.
Guardiamo insieme questo tramonto….
Di Santina Portelli
L’arte nasce con l’essere parlante e continuerà a vivere con la vita dell’essere parlante. Per questo non c’è tramonto dell’arte ma solo il tramonto nell’arte. Cosa ci vuole dire Santina Portelli con questa sua proposta artistica, con questo titolo che ha deciso di dare alla sua proposta artistica? Le interpretazioni e le letture possibili possono essere molto semplici ed immediate ma non siamo soliti, per il nostro lavoro a fermarci alle apparenze evidenti. Ci siamo chiesti pe esempio perché mettere un quadro dell’Ecce Homo dando al quadro un nome particolarmente legato al presente “Ci sono” e organizzando il quadro stesso con una forza granitica come sostegno e come cruda e nuda realtà ad un tempo. Un Cristo senza spine perché già incastonato/incastrato nella pietra? Riprendiamo la questione dopo avere cercato come orientarci, come poter navigare in un mare come quello in cui si sono trovati gli argonauti a navigare con la loro barchetta Argo passando attraverso le Simplegades
(Simplegadi (dal greco syn, insieme, e plésso, urtare, battere) sono, nella mitologia greca, un gruppo di isole, note anche come Isole Ciane, all’ingresso del Ponto Eusino (ora Mar Nero). Si narrava che queste isole si scontrassero continuamente fra loro (da qui il nome), costituendo così un pericolo per i marinai che navigavano in quelle acque. Furono attraversate da Giasone e gli Argonauti durante la ricerca del Vello d’oro). Quali sono allora i nostri punti cospicui, le nostre isole pericolose ma che funzionano anche da porte che dobbiamo imparare a varcare ad attraversare? Propongo due nomi: Ovidio e Samuel Beckett.
Perché Ovidio? Perché Beckett? Per parlare della vita artistica di Santina Portelli?
Ovidio: perché viene relegato a Tomis, l’attuale Costanza in Romania sul Mar Nero, da Ottaviano Augusto (figlio adottivo da Cesare) dopo la pubblicazione delle Metamorfosi. A Roma, nelle Scuderie del Quirinale è ospitata la mostra Ovidio. Amori, miti e altre storie fino al 20 gennaio 2019. Con le metamorfosi, testo che rende molto famoso Ovidio in vita l’imperatore sente che la sua opera di costruzione dell’impero è messo a rischio da questo poema di 15 libri che mostra le metamorfosi della vita dal caos primordiale ai suoi giorni passando attraversi miti e narrazioni nelle narrazioni. Ovidio viene relegato e cambia il suo stile di scrittura anzi impara la lingua del posto per continuare a scrivere.
Quando mi sono trovato a chiedere a Santina come mai avesse deciso da giovane di voler fare la scultrice? La sua risposta garbata ed energica fu: per piegare il destino al mio handicap e per fare questo la scultura è più adatta. La scultura, quindi, come metafora di una condizione esistenziale di cui appropriarsi senza venirne soggiogata. Una forza che cerca lo strumento adatto per potersi esprimere. Ma in Santina non c’è solo forza e basta anzi la sua forza trae energia dal suo desiderio infinito e mai pago. Il desiderio si realizza dice Lacan ma non si soddisfa mai. È la pulsione, cioè l’energia, invece, che si soddisfa sempre, che esige la soddisfazione. Per questo che una pulsione, senza l’obiettivo che gli viene dato dal desiderio, testimonia della sua distruttività, continuamente. L’arte di Santina è un inno alla funzione costruens che il suo desiderio di essere, il suo voler vivere le offre costantemente. Ma dalla scultura ha dovuto comunque ripiegare sulla pittura, sul mettere qualche cosa là dove con la scultura si trattava di levare, di togliere, di aggiungere scavando. Forse per questo la sua pittura lascia una traccia sempre un po’ in rilievo. Come il quadro dove la seggiola sulla battigia di fronte al mare mostra in modo plastico la presenza tenue e decisa di una vita sospesa tra mare e terra ma anche tale da annodare l’incontro del mare che con le sue onde continua ad accarezzare fisicamente e concretamente il corpo della terra mentre lo sdraio è lì a segnalare l’attesa di un corpo che sta per arrivare.
Oppure la seggiola in una stanza azzurra che si rivolge ad una finestra che altri non è che un quadro che si apre sui colori del mondo. Un artifizio simile ai racconti delle metamorfosi di Ovidio quando usa la tecnica del “racconto ad incastro” per tenere desta l’attenzione del lettore. L’altro punto cospicuo mi viene offerto da Samuel Beckett quando arriva dire: tutti nasciamo matti, poi qualcuno ci resta ed ancora tutti nasciamo nella sofferenza, poi qualcuno riesce a capire come soffrire meglio. Non si tratta di rendere omaggio al nichilismo di Beckett bensì di riconoscere il grande suggerimento esistenziale che sa proporre con la sua folgorante formula. La grande levatura intellettuale di Beckett ci rappresenta, con la sua chiara immediatezza estetica e concettuale, la questione del dramma esistenziale di ciascuno e, a un tempo, lo spazio discrezionale e vitale che ciascuno concretamente può avere nella propria vita. Così la nostra Santina Portelli che con le sue metamorfosi esistenziali passa dal giocare/mangiare i colori, al voler piegare il destino al suo handicap; all’organizzarsi con una pittura di scontro, di immediatezza necessaria per poter comunicare o urlare i suoi sentimenti; alla necessità di un percorso di emancipazione come premessa ad una presa d’atto che la fa essere più consapevole della propria esperienza assumendo una scelta di vita; per arrivare poi alla pittura di incontro come decide lei stessa di chiamare le quattro grandi fasi della sua vita di artista.
La scelta viene, non a caso, dopo la laurea in psicologia e la pittura di incontro che ne consegue non perde il mordente della plasticità scultorea che mette nei colori, nel tratto segnato sulla tela. Un tratto che mostra la carne viva e aperta ad una esistenza viva e vissuta. In questa mostra l’uso dell’Ecce Homo come testimonianza possente del “sono qui” è un appello per un ascolto, per incontrare la discrezionalità dell’uditore e si rivolge a tutti nel suo proporsi all’uno per uno. La discrezionalità dell’uditore ha a che fare con la cultura a cui siamo tutti assoggettati ed è proprio a questa cultura che, per sua natura, trascende ciascuno di noi, pur producendo le nostre stesse esistenze, che l’arte di Santina intende rivolgersi. È alla cultura che rivolge il suo appello fatto di immagini scolpite e segnate. Il suo è un grande atto culturale prima ancora che messaggio da regalare a chi lo vuole incontrare. Un atto culturale che lascia un segno, che incide le sue parole nella carne della cultura che l’accoglie. Oggi, questa cultura è rappresentata dalla Sacrestia della Chiesa di Santa Maria delle Grazie. Domani lo sarà per esempio alla Casa della Psicologia o al festival dell’espressività Stanze di Psiche.
Gli artisti sono un passo avanti agli psicoanalisti perché, come gli psicotici, operano a cielo aperto con la differenza che gli artisti conoscono gli strumenti che usano. Inoltre l’arte, con i suoi strumenti, sa costruire legami sociali mentre la scienza tende a costruire discriminazioni e segregazioni anche semplicemente con una banale diagnosi. La nominazione nella scienza classifica, distingue, segrega. La nominazione, nell’arte, è data dall’atto dell’artista che apre ad una pluralità di effetti di senso e di vita a cui tutti possono attingere. L’arte è generosa perché si offre nella sua immediatezza. L’arte che sa come fare a piegare il proprio destino è a un tempo, un dono, un pèr-dono ed un riscatto esistenziale come sa insegnarci con la sua energia espressiva proprio Santina Portelli.
Dott. Giuseppe Oreste Pozzi
Membro dell’Associazione Mondiale di Psicoanalisi
Direttore Clinico di Artelier